I tre artisti protagonisti di questa mostra del ciclo Compendio del tempo sospeso offrono una visione del tempo che presenta alcune affinità sia tematiche sia stilistiche, ma anche alcune sottili differenze interpretative.
Iniziamo col dire che per tutti e tre il tempo sembra essere una costruzione da realizzarsi assieme a chi osserva l’opera, un concetto plurimo e non univoco. Costruzione che può essere data da una sorta di dialogo tra diversi elementi, come nelle mani che si dischiudono a svelare le opere di Maya Lopez Muro, oppure dalla sovrapposizione o giustapposizione di oggetti, immagini, particolari, a raccontare una storia a volte suddivisa in fotogrammi e a volte dissolta e accatastata, come nelle immagini di Lorenzo Papanti, che offre una visione del tempo molto vicina a quello della fisica contemporanea: probabilistica, quantistica, oscillatoria più che definita e immutabile.
La dimensione narrativa, che va a costruire il concetto di tempo assieme allo spettatore trova la propria massima espressione nei fotogrammi del filmato di Danilo Sciorilli. In una sorta di circolarità beckettiana aspettiamo che il filmato cominci, che ci racconti la sua storia, ma siamo destinati a tornare all’inizio del countdown, senza che nulla mai accada, senza neppure la possibilità di ripetere la storia da capo, ma in un costante stato di sospensione e attesa, speranzosi e nuovamente delusi. In quei 10 cruciali minuti sentiamo il tempo che diviene costrutto fortemente umano, diventiamo misura dello stesso e di noi stessi.
Al di là delle somiglianze formali e dalle scelte stilistiche che i tre artisti compiono, a colpirci è proprio questa volontà di co-costruzione del senso che i tre artisti propongono allo spettatore: il tempo non è mai un concetto dato, assoluto, enunciato, ma deve sempre essere compreso assieme a chi osserva, che diviene misura di sé stesso e del fluire temporale. Ci ritroviamo immersi in questa dimensione, in cui gli artisti ci invitano ad entrare e diventiamo coprotagonisti delle opere, in un’operazione interpretativa dal forte sapore postmoderno.
Ancora una volta non si tratta del tempo, ma dei diversi tempi che ciascuno di noi osserva e comprende ammirando le opere in mostra, confrontandosi con gli artisti e con sé stesso.
Aldo Torrebruno
Dialogos de Maya Lopez Muro
La velocità con cui il tempo scorre per ciascuno di noi, che ovviamente è un concetto diverso dal matematico scorrere dei secondi che si succedono uno uguale all’altro, richiama la differenza tra tempo e durata, di bergsoniana memoria. Da un lato infatti abbiamo il tempo della scienza, osservabile, misurabile, analitico, certo, ma anche asettico nel suo succedersi concatenato; dall’altro quel coacervo di sensazioni e stati mentali, che ognuno di noi vive non in maniera sequenziale e matematicamente scomponibile, ma come un continuo fluire, sulla cui velocità percepita è enorme l’influsso dello stato psichico di ciascuno. Lo stesso evento, che il tempo misura come identico, può avere durata estremamente differente per ciascun essere umano che abbia occasione di viverlo: a volte pochi minuti sembrano un’eternità che non vuole saperne di passare e il tempo sembra letteralmente sospeso, altre volte intere ore volano via, senza che ne abbiamo percezione, convinti che siano passati pochi attimi. Ognuno di noi ha avuto esperienza di questa differenza, che rappresenta uno dei grandi misteri dell’uomo e della sua mente: il tempo che cerchiamo costantemente di ingannare finisce sempre per ingannare noi, allontanandosi praticamente sempre, nella percezione di ognuno, dal semplice dato misurabile. Bergson concludeva che la durata è l’unico tempo che esiste per ciascuno di noi: sicuramente è l’unico che possiamo percepire direttamente, per il quale non abbiamo bisogno di astrazione – come invece accade col tempo della scienza – per misurare ogni singolo attimo.
Curatela
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Anna Epis e Aldo Torrebruno
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