-Donazione di Ruggero Maggi all'Archivio  Il Graffiacielo/Italia-
lunes, 3 de noviembre de 2025
RUGGERO MAGGI- " comenuvola" -2021-con la collaborazione di Betty Colombo.
Come nuvoladi Ruggero Maggicon la collaborazione di Betty Colombo video (2001)
.... un aeroplano, una pugnalata che penetra in un corpo e frantuma un mondo consolidato.
Il nostro mondo, il nostro ego che sta cadendo a pezzi. Silenzio, annullando lo stridio acuto dei corpi lacerati. E il dolore lancinante si ammanta di dolcezza, assume la morbidezza e il candore di una nuvola.
Tutto vola su di esso. Niente può ferirlo. Si è lasciato attraversare.
Maya Lòpez Muro
As cloud
by Ruggero Maggi
with the collaboration by Betty Colombo video (2001)
…. an airplane, a stab penetrating into a body and shattering a consolidated world.
Our world, our ego who is falling to pieces. Silence, annulling the acute screeching of bodies-ragged. And the shooting pain bedecks itself with sweetness, it assumes the softness and whiteness of a cloud.
All flies across it. Nothing can injure it. It let itself be passed through.
RUGGERO MAGGI - “Camera 312 – promemoria per Pierre” Biennale di Venezi...
“Camera 312 – promemoria per Pierre”
project by Ruggero Maggi52. Biennale di Venezia
6 June | 21 November 2007
Camera 312 – Dorsoduro 2537 – Venezia
Performance by Kappa with the collaboration by Sarah Pini, Cristina Vighi, Gioia Fruttini, Gianmarco Gaviani
"La notte in cui mi dissero che Pierre Restany era morto, fui scosso da un'improvvisa e violenta commozione. Sapevo che era gravemente malato, ma le sue lettere recenti rivelavano fiducia e speranza. Quando lo incontrai per la prima volta, a metà degli anni Settanta, a Milano all'Hotel Manzoni, gli raccontai dei miei viaggi nell'Amazzonia peruviana. La parola Amazzonia fu la chiave che ci mise immediatamente in contatto spirituale: anche lui amava molto quella foresta e conosceva profondamente quel mondo. Da allora ci incontrammo molte volte e sempre emerse il nostro amore per la Natura. Era profondamente affascinato dall'eterno mistero della Natura, anche se, negli anni, riusciva a percepirne l'essenza più completa solo dall'aereo, come ironicamente sottolineava nelle sue lettere. Pierre Restany, fondatore del Nouveau Réalisme, fu un critico carismatico e un libero pensatore che influenzò notevolmente il mondo dell'arte contemporanea. Viveva da più di trent’anni a Milano, all’Hotel Manzoni, nella “storica” camera 312. Dopo la sua scomparsa ho pensato di rendergli omaggio con questo progetto, che non solo è dedicato a lui, ma è incentrato su di lui.
L'installazione ricreerà la decorazione originale della Stanza 312. Post-it gialli galleggianti ricopriranno interamente le pareti della stanza. Questo oggetto più noto, così comunemente usato per ricordare eventi, è l'elemento base del progetto "Camera 312 promemoria per Pierre": un modo semplice, diretto, colorato e dinamico per far sì che ogni artista invitato annoti la propria testimonianza poetica." 
Ruggero Maggi
Donazione di Ruggero Maggi all'Archivio d'Arte Il Graffiaciello /Italia
Maya Lòpez Muro
"The night when I was told that Pierre Restany had passed away, I was suddenly and violently moved. I knew that he was seriously ill, but his recent letters revealed confidence and hope.  When I first met him, in the middle of the seventies, in Milan at Hotel Manzoni, I told him about my travels in the Peruvian Amazon. The word Amazon was the key that immediately put us into a spiritual contact: he loved a lot that forest as well, and he deeply knew that world. Since then we met many times and always our love for Nature came out. He was deeply fascinated by the eternal mystery of Nature, even if, in the years, he could perceive its most comprehensive essence only from the airplane, as he ironically used to point out in his letters. Pierre Restany, founder of New Realism, was a charismatic critic and free-thinker who greatly influenced the world of contemporary art. He had been living for more than thirty years in Milan, at Hotel Manzoni, in the “historic” room 312. After his death I thought I could honour him with this project, which is not only dedicated to him, but it is centred around him.
The installation will re-create the original decoration of Room 312. Floating yellow Post-it will entirely cover the walls of the room. This most known object, so commonly used to remember events, is the basic element of the project “Camera 312 promemoria per Pierre”: it’s a simple, direct, coloured and fluxus way to make every invited artist note his own poetic testimonial."
Ruggero Maggi
domingo, 2 de noviembre de 2025
RUGGERO MAGGI- "come risuona questo caos" - Mostra Personale -2023-StudioDieci- Vercelli-
COME RISUONA QUESTO CAOS
Mostra di Ruggero Maggi | STUDIO DIECI VERCELLI | INAUGURAZIONE 18 FEBBRAIO 2023 
testo di Lorella Giudici
Studio Dieci, presieduto da Carla Crosio con la direzione artistica di Diego Pasqualin, propone nel contesto dei festeggiamenti del cinquantennale di fondazione una nuova esposizione nella sede di piazzetta Pugliese Levi 10 a Vercelli, ospitando l’artista Ruggero Maggi che proporrà la mostra “Come risuona questo Caos” presentata dal testo dello storico dell’arte Lorella Giudici.
L’esposizione si è inaugurata SABATO 18 FEBBRAIO 2023 alle ore 18:00.
Sottolineando anche l’aspetto sociale che pervade spesso la ricerca di Maggi, Lorella Giudici scrive: “La tematica del dolore, declinata in modi diversi (come tormento, ingiustizia, sopruso, imposizione…), è spesso presente nel lavoro di Ruggero Maggi […] la maggior parte delle opere sono legate tra loro anche da altri due elementi: la luce e l’ombra. La luce è quella del neon, dei led, del laser o della lampada di Wood. Bianca o colorata, essa disegna linee, invade lo spazio, modella, fa affiorare passaggi sotterranei e come un’onda si muove tra le cose per svelarne i segreti o per caricarle di nuovi significati. Essa è il punto d’incontro tra il mondo reale e il pensiero, è la soglia tra la sostanza e l’essenza, ma è pure lo strumento che forgia e scava. […] Ma, se la luce è l’elemento che cattura l’occhio, pure le ombre hanno qualcosa da dire, anzi, come scrive Alda Merini, hanno un suono: “Ecco l’unica cosa che mi piacerebbe veramente di tenere in pugno, il suono dell’ombra”. […]
“Il corpo getta un’ombra, l’anima luce” ha scritto Nietzsche nei Frammenti postumi (1869 – 1889) e alla forza persuasiva della luce che affiora dall’ombra, si affida l’installazione Velo d’ombra (2001). Dieci sagome, alte quasi tre metri e rivestite con il burqa, si stagliano sottili e totemiche nella penombra della stanza. Sono presenze silenziose, inquietanti e enigmatiche che concentrano la loro essenza nella proiezione di luce bianca – frantumata in tanti piccoli punti – che filtra dalle sottili feritoie dei loro burqa. Un velo d’ombra può far risaltare la bellezza nascosta e renderla particolarmente seducente, ma cosa accade quando è imposto? “Come ogni materia che separa – argomenta Ruggero Maggi – per quanto sottile ed intangibile (è devastante la violenza psicologica), il risultato si trasforma sempre in un limite che delinea campi visivi e d’azione in cui l’imposizione affievolisce la libertà. L’interno e l’esterno subiscono modifiche che condizionano sia l’individuo che la collettività. Forse soltanto acuendo al massimo la propria sensorialità si può tentare di infrangere quel distacco che ci rende muti osservatori”.
COME RISUONA QUESTO CAOS
mostra di Ruggero Maggi
COME RISUONA QUESTO CAOS mostra di Ruggero Maggi
testo di Lorella Giudici
Studio Dieci, presieduto da Carla Crosio con la direzione artistica di Diego Pasqualin, propone nel contesto dei festeggiamenti del cinquantennale di fondazione una nuova esposizione nella sede di piazzetta Pugliese Levi 10 a Vercelli, ospitando l'artista Ruggero Maggi che proporrà la mostra "Come risuona questo Caos" presentata dal testo dello storico dell'arte Lorella Giudici.
L'esposizione si inaugurerà SABATO 18 FEBBRAIO 2023 alle ore 18:00.
Sottolineando anche l'aspetto sociale che pervade spesso la ricerca di Maggi, Lorella Giudici scrive:
“La tematica del dolore, declinata in modi diversi (come tormento, ingiustizia, sopruso, imposizione...), è spesso presente nel lavoro di Ruggero Maggi [...] la maggior parte delle opere sono legate tra loro anche da altri due elementi: la luce e l’ombra. La luce è quella del neon, dei led, del laser o della lampada di Wood. Bianca o colorata, essa disegna linee, invade lo spazio, modella, fa affiorare passaggi sotterranei e come un’onda si muove tra le cose per svelarne i segreti o per caricarle di nuovi significati. Essa è il punto d’incontro tra il mondo reale e il pensiero, è la soglia tra la sostanza e l’essenza, ma è pure lo strumento che forgia e scava. [...] Ma, se la luce è l’elemento che cattura l’occhio, pure le ombre hanno qualcosa da dire, anzi, come scrive Alda Merini, hanno un suono: “Ecco l’unica cosa che mi piacerebbe veramente di tenere in pugno, il suono dell’ombra”. [...]
“Il corpo getta un’ombra, l’anima luce” ha scritto Nietzsche nei Frammenti postumi (1869 - 1889) e alla forza persuasiva della luce che affiora dall’ombra, si affida l’installazione Velo d’ombra (2001). Dieci sagome, alte quasi tre metri e rivestite con il burqa, si stagliano sottili e totemiche nella penombra della stanza. Sono presenze silenziose, inquietanti e enigmatiche che concentrano la loro essenza nella proiezione di luce bianca - frantumata in tanti piccoli punti - che filtra dalle sottili feritoie dei loro burqa. Un velo d’ombra può far risaltare la bellezza nascosta e renderla particolarmente seducente, ma cosa accade quando è imposto? “Come ogni materia che separa – argomenta Ruggero Maggi - per quanto sottile ed intangibile (è devastante la violenza psicologica), il risultato si trasforma sempre in un limite che delinea campi visivi e d’azione in cui l’imposizione affievolisce la libertà. L’interno e l’esterno subiscono modifiche che condizionano sia l’individuo che la collettività. Forse soltanto acuendo al massimo la propria sensorialità si può tentare di infrangere quel distacco che ci rende muti osservatori”.
COME RISUONA QUESTO CAOS mostra di Ruggero Maggi
testo di Lorella Giudici
COME RISUONA QUESTO CAOS
Lorella Giudici
“Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici” ha lasciato scritto qualcuno (se non ricordo male Gibran) e le Rose rosso sangue (2019) di Ruggero Maggi sembrano ricordarcelo. Sono fiori che nascono dal dolore e che si colorano con il sangue (dell’artista) che intride la carta di cui sono fatti e conferisce loro la drammaticità di una garza. Sono boccioli struggenti, che si reggono su steli di filo spinato e che germogliano da ferite profonde, difficili da guarire. Racchiuse in teche di legno, le rose di Ruggero sono doni gravosi, reliquie o ex-voto da immolare su qualche altare.
La tematica del dolore, declinata in modi diversi (come tormento, ingiustizia, sopruso, imposizione...), è spesso presente nel lavoro di Ruggero Maggi, la ritroviamo anche in altre opere che, accanto alle rose, espone allo Studio 10 di Vercelli, la maggior parte delle quali sono legate tra loro anche da altri due elementi: la luce e l’ombra. La luce è quella del neon, dei led, del laser o della lampada di Wood. Bianca o colorata, essa disegna linee, invade lo spazio, modella, fa affiorare passaggi sotterranei e come un’onda si muove tra le cose per svelarne i segreti o per caricarle di nuovi significati. Essa è il punto d’incontro tra il mondo reale e il pensiero, è la soglia tra la sostanza e l’essenza, ma è pure lo strumento che forgia e scava. È il caso, ad esempio, di Tutti i colori del caos (2001) – una tavolozza ottenuta incidendo con un taglio laser una vecchia scheda elettronica - e di Identità cancellate (1985), una light box dove una linea di luce bianca e fredda si insinua tra due blocchi di serizzo, resti di qualche cornicione andato in frantumi, per illuminare un interstizio in fondo al quale c’è una vecchia foto in bianco e nero. È il ritratto di una famiglia “cancellata”, così suggerisce il titolo, da qualche tremendo cataclisma. Come una lapide senza nomi e senza tempo, quel rettangolo di macerie è il simbolo di un dolore che, al contrario, non si può estinguere e di un destino che coglie di sorpresa e il più delle volte si dimostra iniquo.
Ma, se la luce è l’elemento che cattura l’occhio, pure le ombre hanno qualcosa da dire, anzi, come scrive Alda Merini, hanno un suono: “Ecco l’unica cosa che mi piacerebbe veramente di tenere in pugno, il suono dell’ombra”. I grigi nella parte superiore sono lugubri e pesano come una cappa, con il loro timbro cupo opprimono almeno quanto le pietre, mentre il chiaroscuro lievemente ingiallito della fotografia risuona dolce ed evoca il calore degli affetti, sussurra teneri ricordi e commuove. Completamente differente è il mood del Peccatore casuale (1995), nel quale un laser proietta una sottile croce rossa al centro di un antico breviario francese del 1871, opera di Alphonse de Liguori e tutto dedicato alla pratica d’amore verso Gesù. Ogni capitolo, affrontato tematicamente, è il tentativo di illuminare il cammino per progredire nell’amore del prossimo ed esplora tutte le qualità della vita morale: dalla clemenza alla carità, dalla pazienza alla forza e così via. Queste pagine sono state però oltraggiate da una mano ignota che ha tracciato un disegno “peccaminoso” su una pagina bianca. Un fallo, su cui è vergata la scritta “cultura”, si protende fino a “ferire” idealmente il cuore di Cristo stampato nella pagina accanto, che risulta però strategicamente rovesciata. Poco più sotto, la scritta “manicomio”, vergata con inchiostro nero, connota ancora meglio il foglio dissacrante, insinuando la follia come elemento demoniaco e corresponsabile dell’attacco blasfemo. Il libro, recuperato in questo stato da Ruggero in una bancarella dell’usato, è ora posizionato su di un leggio che lo accoglie come fosse una partitura da leggere e da ascoltare. La croce luminosa, che si estende sulla parete e sul pavimento e che nelle sue coordinate ortogonali unisce visivamente il sacro (il cuore di Gesù) e il profano (l’organo genitale), il cielo e la terra, è un estremo tentativo di esorcizzare quanto di immorale è stato aggiunto in quelle pagine (e, per estensione, nel mondo) e di restituire loro la rassicurante sacralità originaria. Troppo tardi: ormai il dolo è fatto e nulla può tornare come prima. Un’ombra mefistofelica si è insinuata tra l’uomo e Dio, portando inevitabilmente con sé il seme del dubbio e della ribellione.
A proposito di demoni, Hell (inferno) è la scritta che campeggia su un grande bidone di latta, tutto ammaccato (Arida acqua, 1998) e ancora impregnato di un leggero e diffuso odore di petrolio, anche questo trovato e raccolto da Maggi ai bordi di una strada. È quello che resta – visivamente pietrificato in un materico craquelé - del noto marchio “Shell” dopo la decurtazione della lettera iniziale. Un emblematico gioco di rimandi tra gli spietati simboli del potere economico e le leggendarie credenze di un popolo, tra le tentazioni del denaro e il bisogno di racconto, tra le luci e le ombre di un mondo che crede solo nel profitto e dimentica gli scempi, lo sfruttamento e le conseguenze. Intanto, il suono costante di una goccia d’acqua trasforma il bidone di petrolio (“olio di pietra”) in un sommesso richiamo: “può una goccia erodere ciò che l’aridità umana trasforma in un inferno fossile?”.
“Il corpo getta un’ombra, l’anima luce” ha scritto Nietzsche nei Frammenti postumi (1869 - 1889) e alla forza persuasiva della luce che affiora dall’ombra, si affida l’installazione Velo d’ombra (2001). Dieci sagome, alte quasi tre metri e rivestite con il burqa, si stagliano sottili e totemiche nella penombra della
stanza. Sono presenze silenziose, inquietanti e enigmatiche che concentrano la loro essenza nella proiezione di luce bianca - frantumata in tanti piccoli punti - che filtra dalle sottili feritoie dei loro burqa. Un velo d’ombra può far risaltare la bellezza nascosta e renderla particolarmente seducente, ma cosa accade quando è imposto? “Come ogni materia che separa – argomenta Ruggero Maggi - per quanto sottile ed intangibile (è devastante la violenza psicologica), il risultato si trasforma sempre in un limite che delinea campi visivi e d’azione in cui l’imposizione affievolisce la libertà. L’interno e l’esterno subiscono modifiche che condizionano sia l’individuo che la collettività. Forse soltanto acuendo al massimo la propria sensorialità si può tentare di infrangere quel distacco che ci rende muti osservatori”.
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